Marocco, agosto/settembre 2012

Sono passati molti anni da quando con mio padre mio fratello e una coppia di amici girammo in lungo e in largo il Marocco in camper, ma il ricordo delle città imperiali, delle oasi e di tutte le meraviglie di quei paesaggi mi sono rimasti impressi nella memoria. Dissi a me stesso che un giorno sarei tornato ed eccomi a raccontare questo nuovo viaggio.

18 Agosto, volo Roma – Siviglia

Voglio essere sincero. A #principessasissi_dqm* non ho detto proprio tutta la verità su come ho pensato questo viaggio. Già il doppio zaino “crucco style”, il volo Ryanair, le scarpe basse per camminare e lo scarso numero di capi firmati che avrà a disposizione per le prossime tre settimane generano in lei una certa sofferenza che non dissimula affatto… Anzi. Appena varcato il portone di via Cunfida ha timidamente chiesto se era possibile prendere un taxi fino a Termini e mentre camminavamo sotto il sole verso la fermata della metropolitana malediceva il popolo tedesco. Devo però ammettere che il bus sostitutivo della linea A da Ottaviano a Termini ci ha offerto un primo assaggio di terzo mondo. Venti minuti stretti come sardine a 36 gradi e senza aria condizionata. Quando siamo scesi #principessasissi_dqm ha sfoderato teorie socio-sanitarie di hitleriana memoria contro il senegalese che ha osato sudare e soprattutto si è appoggiato al suo già pesantissimo zaino (14 kg contro i miei 11 e poteva andare molto peggio). Dei taxi collettivi e delle tipiche pensioni a basso costo che voglio visitare sarà informata successivamente.

Siamo partiti da Roma alle 17.10 con volo Ryanair diretto a Siviglia, città che però visiteremo al ritorno. Anche in questo viaggio non arriverò direttamente nel paese che vado a visitare, ma passerò la frontiera da un paese confinante, in questo caso la Spagna. Sarà l’occasione per visitare Siviglia – che pare sia molto bella – e qualche scorcio di Andalusia, nonché di attraversare le colonne d’Ercole. Ricordo che fu un’esperienza bellissima. Mentre scrivo le hostess di Ryanair cercano di venderci di tutto, dal cibo alle sigarette che non fanno fumo, dal gratta e vinci alle schede telefoniche internazionali. Ovviamente #principessasissi_dqm è molto infastidita da questa cosa perché vuole leggere il suo libro e ogni volta mi guarda sussurrando KLM… In più non si spiega la gestione delle salme in caso di incidente visto che i posti non sono assegnati. Appena saliti indicando una tipa ha esclamato «mia madre non vuole il corpo di questa, vuole me!». Per fortuna la spagnola non ha capito.

* #principessasissi_dqm = Francesca Romana Buffetti

18 Agosto, Siviglia

La serata a Siviglia è stata piacevole e la piccola pensione dove abbiamo pernottato era centrale, molto pulita e ben tenuta. Una classica costruzione andalusa completamente ricoperta di piastrelle di ceramica celesti molto arabeggiante. Purtroppo visto l’orario e un po’ di stanchezza non è riuscita la cena a base di tapas che avevo pensato. La taverna dove ci siamo fermati non le serviva più e così abbiamo dovuto scegliere dal menù. #principessasissi_dqm ha ordinato una sorta di piatto tipico andaluso e io un uovo strapazzato con bacon, funghi e gamberi (in Spagna succede…). Scopriamo così – con grande delusione di qualcuno – che la trippa alla romana è un tipico piatto andaluso e mi vedo costretto a mangiare entrambe le portate. In compenso il vino bianco non era male.

Malgrado il ‘mood’ #stoapostocosìhomangiatoilpanenonhopiùfame, convinco #principessasissi_dqm ad andare a mangiare un gelato in una delle tante gelaterie che avevamo incontrato sulla strada. Per un fumatore che smette i primi giorni sono i più difficili e per lei è stato il primo giorno. Andiamo a dormire relativamente presto, domani sveglia alle 7.30.

19 Agosto, Siviglia – Algericias – Tangeri

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Per poco non perdevamo la corriera per Algericias perché non ci siamo accorti di aver superato la fermata della stazione dei bus, per fortuna grazie a un tassista siamo riusciti a salire in extremis sulla corriera e a partire.
Il paesaggio che porta ad Algericias è molto brullo ed è interrotto di tanto in tanto da enormi sagome di toro e pale eoliche. Non farò sproloqui sulle energie alternative e su quanto poco le utilizziamo in Italia, di sicuro le pale eoliche sulle colline che si incontrano sullo stretto di Gibilterra non deturpano il paesaggio, oserei dire che forse lo migliorano.

Arrivati ad Algericias ci siamo diretti verso il porto e abbiamo acquistato in un’agenzia i biglietti per la traversata. Ce la siamo cavati con 25 euro a testa. Inutile la corsa verso gli imbarchi perché la nave partiva con un’ora di ritardo, in compenso abbiamo potuto osservare nella sala d’attesa le prime famiglie marocchine di rientro in patria.
La traversata l’abbiamo passata in fila per il controllo passaporti. I due poliziotti marocchini hanno collegato un pc portatile a una presa volante e con una sfiancante lentezza hanno creato due lunghe file, ovviamente a noi è toccato il più lento e pignolo. Per fortuna siamo riusciti a goderci gli ultimi dieci minuti di traversata e l’attracco in terra d’Africa. Scopriamo così che il nuovo porto di Tangeri non è in città ma diversi km più a nord e per raggiungere la città c’è un bus compreso nel prezzo del biglietto della nave. Dopo meno di un’ora siamo arrivati in città e tra facchini improvvisati che si sono offerti di aiutarci a tirar fuori i bagagli dalla stiva del bus e agenti altrettanto improvvisati che si sono offerti per il trasporto e l’alloggio, siamo entrati subito nel clima di un paese non facile, specie se lo si vuole visitare rinunciando alle ‘protezioni’ dei viaggi organizzati. Il Marocco è povero e Tangeri è una città portuale con tutto il fascino e le insidie annesse a un luogo di questo tipo.

La “porta dell’Africa” è stata negli anni il rifugio di scrittori e artisti occidentali spesso omosessuali in cerca di baldi giovani a buon mercato e musicisti in cerca di ispirazione ma soprattutto di hascish (sulle guide la fanno più poetica ma la sostanza è questa). La Medina maleodorante è popolata da bizzarri personaggi di ogni tipo, branchi di giovani e giovanissimi che non ti staccano gli occhi di dosso e ad ogni angolo c’è qualcuno che cerca di attirare la tua attenzione inseguendoti per qualche metro. La tattica vincente è ignorare e proseguire per la propria strada. Salta subito all’occhio quanto l’impatto con la modernità abbia spezzato in due la città e i suoi abitanti, aumentando a dismisura il divario fra i pochi ricchi e i tantissimi poveri. Da una parte la città nuova, gli orribili grattacieli e le strade larghe, la nuova stazione ferroviaria e lo scheletro dell’Hilton in costruzione. Dall’altra il vecchio centro, la Medina e la Casba con i loro vicoli stretti pieni di liquami e spazzatura che sembrano dover venir giù da un momento all’altro a causa dell’abbandono e dell’incuria.

Chiaramente per qualcuno l’impatto con il Marocco non poteva essere peggiore di questo, gli sguardi chiaramente tendenti al #dovecazzomihaiportata lasciavano intendere una certa inquietudine, ma io stesso ci ho messo un po’ ad abituarmi alla nuova atmosfera. Dopo una serie di giri farraginosi in cui non sono mancati momenti di smarrimento (le classiche stradine strette che finiscono a casa di qualcuno), accetto di farci guidare all’hotel che avevamo scelto sulla guida da un tipo un po’ meno losco e invadente di altri che per qualche euro ci ha portato a destinazione non senza averci prima mostrato le presunte case degli artisti vissuti a Tangeri in un glorioso quanto ormai impalpabile passato.

L’hotel Marmara non è proprio il massimo della pulizia, diciamo che la definizione di “bettola” calza bene, ma la faccia di #principessasissi_dqm che scopre che la “camera con doccia” è una camera con in mezzo una doccia e un lavandino (luridi) separati da una tenda vale tutto il viaggio.

Stanchi del viaggio abbiamo aspettato la fine del Ramadam (siamo arrivati proprio l’ultimo giorno) sulla terrazza dell’hotel e dopo la prima preghiera del Muezzin “sparata” in faccia – l’hotel e soprattutto la nostra stanza stanza si trova a pochi metri dal minareto – abbiamo cenato in un ristorante molto in linea con l’hotel pochi metri più avanti. Malgrado l’ambiente fatiscente abbiamo mangiato bene con pochi Dhiram e il proprietario è stato molto gentile. Abbiamo chiuso la serata con una breve passeggiata da Petite Socco a Grand Socco, lungo una strada affollatissima piena di bancarelle, negozi e teli con merci di ogni tipo in mezzo alla strada. Evidentemente la festa di chiusura del Ramadam ha reso ancora più caotiche le strade della Medina. Dopo un te al “Café central” sulla Petite Socco che ci ha dato modo di osservare lo “struscio”, ci siamo ritirati stanchi da questa lunga e movimentata giornata di viaggio.

20 Agosto, Tangeri

Tangeri di giorno appare decisamente più tranquilla e si nota la presenza per le strade di altri viaggiatori europei più o meno irretiti dalle varie guide improvvisate. Abbiamo fatto colazione al Café Central, che dei tre della Petite Socco è quello più frequentato da stranieri, ma non mancano gli indigeni. Di sicuro è il più pulito. Una costante dei locali marocchini è la lentezza del servizio, sintomo di una società che viaggia a ritmi molto più lenti della nostra. Sorseggiando caffé abbiamo osservato le frequentazioni delle altre due caffetterie. La prima era interamente popolata di uomini marocchini di tutte le età, di donne neanche a parlarne come nella più autentica tradizione araba. Il secondo era decisamente più misto e sui tavolini esterni abbiamo notato – non senza un pizzico di malizia – alcuni uomini e donne occidentali non più nel fiore degli anni rigorosamente single apparentemente in cerca di occasionali sfoghi libidinosi dal sapore esotico (che poeta…).

Finita la colazione ci siamo diretti verso la spiaggia e il lungomare. Per fortuna il vento che tirava sullo stretto ha reso piacevole e non sfiancante la lunga passeggiata lungo il viale che costeggia la grande spiaggia dalla sabbia giallissima. Prima di salire verso la città nuova ci siamo fermati in una grande e moderna gelateria provvista di connessione wifi dove abbiamo inviato messaggi e chiamate skype rassicuranti ai nostri cari. La città nuova non è nulla di che, compreso il belvedere deturpato da orribili troni dorati a uso e consumo di turisti bramosi di pagare qualche Dhiram per scattare discutibili foto ricordo. Un po’ come i centurioni sotto il Colosseo ma decisamente più invadenti.
Proseguendo a piedi siamo tornati alla Medina e abbiamo girato per la Casba, questa volta senza guida, e ci siamo fermati in un locale uscito da una cartolina del 1800 (se escludiamo la tv al plasma che trasmetteva il campionato spagnolo) popolato di soli uomini che fumavano lunghe pipe o sigarette palesemente “modificate”. Decidiamo di partire la mattina seguente per Assillah, una cittadina di mare consigliata dalle guide sulla via di Rabat. Bevuto l’ormai solito tè, siamo saliti su un taxi che ci ha portati alla (nuova) stazione dei treni dove abbiamo preso i biglietti (partenza 8.25…) e ci siamo preparati per trascorrere l’ultima serata a Tangeri, questa volta fuori dalla Medina.

Anche nella Tangeri moderna i tempi d’attesa al ristorante sono assai lunghi, un unico cameriere tuttofare si divideva tutti i tavoli del locale. La sera sul lungomare passeggiano migliaia di giovani che frequentano locali sulla spiaggia, si nota la differenza fra chi vive in Europa e torna a casa per le vacanze e chi vive nel posto. Spesso le ragazze che girano in gruppo sono divise fra chi usa il velo e le classiche tuniche arabe e chi veste all’occidentale. Finita la cena siamo tornati in hotel per riposare in vista della sveglia alle 7.00 del giorno successivo.

Non tornerei a Tangeri, ma sono contento di averla vista. La sua sporcizia, gli odori forti e il senso di inquietudine che ti trasmettono le persone e la stessa città sono un impatto forse necessario per entrare in un paese difficile e in una mentalità così diversa dalla nostra. Probabilmente osserveremo le assillanti guide di Fes, Rabat, Marrakesh e degli altri luoghi che visiteremo con un occhio diverso e con in livello di pazienza più alto dopo questi due giorni scarsi di “vaccinazione”. Non condivido l’enfasi con cui alcuni raccontano questa città. Perché un luogo possa comunicarti qualcosa non basta che in passato sia stata una delle mete preferite dei Rolling Stones per la buona qualità dell’ashish o un facile mercato di adolescenti in affitto per artisti omosessuali. Oggi Tangeri è uno dei tanti esempi palpabili di come l’impatto con la modernità non sempre porti con sé un reale miglioramento delle condizioni di vita. E servirà ben altro che la fine dei lavori dell’Hotel Hilton per ridare splendore a questo vecchio e maleodorante porto abbandonato.

22 Agosto, Assilah

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La povera #principessasissi_dqm e il sottoscritto hanno viaggiato per circa un’ora in piedi e ammassati su un affollatissimo treno marocchino. Vivere i disagi insieme agli abitanti del luogo aiuta a capirli meglio e ora che li abbiamo capiti così bene, la prossima volta non esiteremo a viaggiare in prima classe. Arrivati (ovviamente in ritardo) ad Assilah abbiamo invano atteso un taxi che ci portasse dalla stazione alla cittadina, fino a quando non è arrivato un indigeno su un carretto trainato da un cavallo che per 10 Dhiram ci ha portato fuori dalla Medina. Da segnalare la voce sconsolata alle mie spalle che mentre facevo segno al giovane marocchino diceva: «stai per farmi salire sul carretto vero?» e durante il tragitto diceva: «certo, meglio che a piedi con lo zaino…».

La piccola cittadina fortificata sull’oceano è tenuta molto bene, forse troppo. Ricorda una cittadina greca o del Salento, è pulita e non ci sono troppi personaggi assillanti che vogliono spillarti soldi, se non i procacciatori di appartamenti o camere nella Medina. La verità è che gran parte delle case nella Medina sono state acquistate da europei – soprattutto spagnoli – che l’hanno trasformata in una tranquilla cittadina di mare.
Dopo aver trovato l’hotel (pulito con bagno in camera, spartano ma decente) e fatto una doccia, siamo usciti con l’intento di passare una rilassante giornata al mare. Lungo la strada abbiamo incontrato due ragazze spagnole, Irene e Veronica, che avevano prenotato poco prima un carretto (scopriamo che ad Assilah è un mezzo di spostamento molto comune) per una spiaggia a circa 2 chilometri dalla città. Ci uniamo a loro e dopo aver contrattato il nuovo prezzo partiamo. Durante il tragitto abbiamo caricato altre due ragazze marocchine residenti in Belgio e a quel punto sul carretto (molto instabile) si cominciava a star stretti. Abbiamo percorso tratti di strada sterrata e tratti asfaltati attraversando una baraccopoli dove decine di bambini giocavano in mezzo ai rifiuti e i nuovi quartieri in costruzione, un’urbanizzazione selvaggia incurante del territorio circostante, l’Italia come doveva essere più di mezzo secolo fa.

Guardando quelle baracche tirate su con materiali improvvisati, abitate da persone, cani, capre denutrite e i tantissimi bambini scalzi e luridi inseguirsi in mezzo a spazzatura e liquami di ogni tipo, pensavo che la vera Assilah è qualcosa di assai lontano dalla cartolina della Medina e delle grandi spiagge sull’oceano. I suoi abitanti vivono fuori le mura, nel migliore dei casi in edifici semplici e spesso incompiuti, nel peggiore in una baracca. Sono uniti dal mare che li ospita indistintamente e da quel necessario istinto di sopravvivenza che serve ad adattarsi a una vita semplice e spesso di stenti senza perdere il sorriso. Probabilmente sanno anche di essere quasi dei privilegiati rispetto ai loro fratelli che vivono in luoghi più anonimi e non toccati dal turismo o dalle nuove colonizzazioni immobiliari dei ricchi europei. Il ragazzo che guida il carretto è probabilmente un abitante delle baracche, di tanto in tanto saluta persone che spuntano dal nulla e ci scambia qualche parola. La sua vita semplice, come le tante vite semplici che incontreremo in questo viaggio, saranno un modo per staccare per qualche giorno la spina dalla frenesia forse eccessiva delle vite che ci siamo e che ci hanno costruito intorno. Il suo sguardo calmo e apparentemente appagato è una cosa sola col rumore degli zoccoli del cavallo sulla terra battuta e il cigolio del carretto. Rumori che abbiamo dimenticato, un’immagine di ciò che non siamo più.

Il carretto ci ha scaricati sulla grandissima spiaggia piena di stabilimenti costruiti con legno di bamboo che sembrano dover volare via al primo colpo di vento. Il panorama è stato davvero bello anche se la discesa sul sentiero di terra assai dissestato non è stata molto apprezzata dai miei reni, tantomeno dalle mie parti basse diciamo…
Dopo aver preso accordi con il nostro trasportatore sull’orario di rientro, abbiamo trovato un posto dove stare insieme alle nostre nuove compagne di viaggio spagnole, per scambiare qualche parola con loro e controllare a vicenda le nostre cose quando andavamo a fare il bagno, per pranzo abbiamo mangiato un Tajin di pollo davvero ottimo.
La spiaggia era frequentata in gran parte da marocchini, sia in famiglia che gruppi di amici e qua e la da qualche turista, l’acqua era limpidissima e meno fredda di quanto pensassi. La giornata è stata piacevole e dopo il rientro si è conclusa con una cena e un giro per la Medina. Domani si parte per Rabat.

23 – 24 Agosto, Rabat

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L’idea iniziale era quella di pernottare una sola notte a Rabat ma… A causa di un problema gastrointestinale – comunemente conosciuto come “dissenteria del viaggiatore” – che mi si è prepotentemente manifestato al nostro arrivo in albergo (con tanto di febbre e brividi di freddo), sono stato costretto a passare un intero giorno e un’intera notte dividendomi tra il letto della camera con doccia (vedi Tangeri) dell’hotel Central e il bagno in comune che fortunatamente si trovava appena fuori la stanza.
#principessasissi_dqm ha sfidato le insidie della capitale marocchina per procurarmi i viveri nelle ore più difficili del malore. Come tutte le nobildonne, nel ruolo di crocerossina di esalta non poco. Ho dovuto però spiegarle che la finestra della nostra modesta camera dell’hotel Central con affaccio sulle grandi terrazze dell’hotel Balima, non era proprio l’ideale per girare come normalmente si gira tra la camera da letto e il bagno di casa propria, un po’ per il minaccioso occhio di Allah sempre incombente sopra di noi, un po’ per evitare ai poveri clienti dell’hotel Balima di dover sborsare 5000 Dhiram di supplemento per un caffé sulla terrazza.
Dopo una notte passata invano a cercare dell’acqua per contrastare la disidratazione dovuta al malore, la mattina #principessassissi_dqm è riuscita finalmente ad ottenere due bottiglie d’acqua da 50 cl dai camerieri dell’Hotel Balima prima dell’orario di apertura del bar (…), per poi rimpinguarle un paio d’ore dopo con succhi di frutta. Mi sono sentito decisamente meglio e siamo potuti finalmente uscire per visitare la capitale, facendo prima tappa in farmacia per comprare un’indispensabile scatola di Imodium.

Rabat è molto istituzionale, strade larghe con sedi di banche e soprattutto il palazzo del parlamento. Malgrado il tipico Suk povero e dagli odori forti è senza dubbio una città tranquilla seppur povera di attrattive rispetto alle altre. E poi il barbiere che mi ha fatto barba e capelli in tempo di record e per pochi Dhiram meritava. Dopo un giro per la Medina decidiamo di andare a cenare in un ristorante italiano per non aggravare le mie ancora non ottimali condizioni gastrointestinali. Devo dire che la bistecca con le patate al forno era molto buona e mangiare qualcosa dopo un giorno e mezzo di digiuno è stato liberatorio e mi ha ridato energia. Imodium ha fatto il resto.

Rabat non è certo uno dei luoghi più caratteristici del Marocco pur essendo la capitale, ma vale la pena passarci una giornata per vedere un Marocco meno da cartolina e più reale. Purtroppo non siamo riusciti a visitare Salé, la città gemella dall’altra parte del fiume che pare meriti molto… La prossima volta farò più attenzione ed eviterò le verdure crude ricche di quei batteri così difficili da gestire per i nostri anticorpi rammolliti dalle direttive UE sull’agroalimentare.

24 – 25 Agosto, El Jadida

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In Marocco non ci si deve mai fidare delle pensiline nelle stazioni ferroviarie, specie in quelle piccole. Ancor meno delle indicazioni degli addetti delle ferrovie. Uno di questi signori ci ha fatto perdere il treno per El Jadida dalla stazione di Ain Seeba – anonima località a meno di un’ora da Rabat – dicendoci di non salire sul treno che avevamo sotto il naso ma su quello successivo. Cose che capitano.
Preso finalmente il treno giusto con due ore di ritardo, abbiamo osservato dal finestrino il paesaggio brullo e i poverissimi villaggi lungo la tratta. In questo paese le caotiche città sembrano quasi delle immense oasi in mezzo a uno sconfinato nulla popolato qua e la da piccoli agglomerati urbani.

Arrivati alla stazione di El Jadida, ci siamo fatti portare da un Petit taxi nelle vicinanze dell’hotel che avevamo scelto all’interno della Medina. Il posto è abbastanza pulito e rifinito, ornato con i classici piastrellati marocchini e con le camere disposte a corte, quasi un piccolo riad. Se il bagno della camera avesse avuto una porta invece che una tenda da doccia sarebbe stato perfetto.

Lasciati gli zaini in hotel, ci siamo diretti verso la città portoghese, una fortificazione del 1500 costruita appunto dai portoghesi quando controllavano l’intera area. È l’unica vera attrattiva di El Jadida ma è molto piccola e si gira molto velocemente. Particolarmente bella è l’antica cisterna, oggi meta di famiglie marocchine e turisti europei che passeggiano coi piedi scalzi nell’acqua e approfittano della luce particolare del riflesso per scattare fotografie. Continuando la passeggiata, abbiamo bevuto un tè nel cortile di un ristorante molto bello in un edificio costruito sulle mura di cinta. Attrattive del locale sono il proprietario, un europeo di mezza età palesemente fuori di testa e la caposala marocchina particolarmente bella e gentile. L’estrema eleganza del luogo con possibilità di prezzi da salasso occidentale ci ha fatto desistere dall’idea di cenarvi.

Finita la pausa relax, ci siamo diretti verso la stazione degli autobus per acquistare i biglietti per Essaouira del giorno successivo. Abbiamo attraversato il lungomare e parte della città nuova. La stazione dei bus è luogo assai bizzarro, sporco, maleodorante e mal frequentato. Gli orari delle corse sono dipinti sulle pareti (a dimostrare che difficilmente variano col passare degli anni) e i box delle varie compagnie sono protetti da grate di metallo, a parte quella della CTM – la compagnia “di bandiera” – che può vantare un box diviso da doppio vetro.
Ottenuti in qualche modo i biglietti, siamo tornati verso la città portoghese e abbiamo cenato pesce “bagnato” con mezzo litro di vino bianco francese al “ristorante del porto”, uno dei pochi autorizzati alla vendita di alcolici.
A dire il vero sarebbe stato molto affascinante comprare del pesce crudo e farselo arrostire o friggere nella mensa/ristoro che abbiamo incontrato sulla strada per il ristorante, ma le mie ancora precarie condizioni gastrointestinali avrebbero reso questo tipo di scelta troppo rischiosa. Finito di cenare siamo tornati all’hotel sperando di riuscire a riposare, ma abbiamo scoperto che in Marocco i bambini restano a giocare per strada fino alle 4 di mattina e questo fenomeno unito al festino organizzato dal gruppo di inglesi al piano di sopra, ha reso davvero difficile prendere sonno.

Il giorno seguente ci siamo svegliati e abbiamo preso il bus per la spiaggia di Sidi Bouzid, una “frazione” di El Jadida dove le famiglie più benestanti possiedono la seconda casa. La spiaggia non è nulla di che, ma è ciò che ci serviva per rilassarci in vista del viaggio in autobus verso Essaouiria. Dopo un pranzo a base di pesce in un ristorante sul lungomare, abbiamo preso un taxi che ci ha portato – con un largo anticipo rispetto all’orario di partenza – alla stazione degli autobus.

25 – 26 Agosto, bus da El Jadida a Essauria
In Marocco gli orari sono da considerarsi del tutto indicativi. La traversata in autobus da El Jadida a Essaouiria è durata oltre cinque ore, due in più rispetto al previsto, malgrado lo Stile di guida da “Parigi Dakar” del conducente. Lungo la strada abbiamo incontrato piccoli agglomerati urbani, spesso composti da poche costruzioni definite circondate da baracche o case di fango. In tutti era presente un mercato utilizzato probabilmente da tutti gli abitanti delle campagne circostanti. Azzardo a pensare che in passato dovevano essere piccoli avamposti militari oggi trasformati in villaggi che vivono dei loro prodotti agricoli. Luoghi estremamente poveri ma autosufficienti.
Ci siamo fermati per qualche minuto in uno di questi villaggi, una località chiamata Sebt Gzoula, punto di rifornimento carburante circondato da un piccolo mercato, caffetterie e punti ristoro. Particolarmente curiose le macellerie con brace annessa, ci si può comprare un pezzo di capra (esposta a temperature non certo favorevoli alla conservazione) e farsela cucinare sul momento.

25 – 26 – 27 Agosto, Essaouira

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Arrivati finalmente alla stazione dei bus di Essaouiria, abbiamo scansato con una certa abilità (stiamo diventando bravissimi…) i vari procacciatori di alloggi appostati in attesa di turisti e siamo saliti su un taxi che ci ha portato fuori le mura della città fortificata a pochi passi dal Riad segnalato sia da Lonely Planet che da Routard, ma un po’ criticato da qualche visitatore italiano su Trip Advaisor. Arrivati sul posto abbiamo avuto la conferma della non attendibilità dei nostri connazionali (anche) in materia di viaggi. Il Riad è molto bello, pulito e accogliente. Il personale cordiale e disponibile a dispensare consigli senza troppi secondi fini. Stanchi della traversata, ci siamo limitati a una veloce passeggiata nei dintorni del Riad e abbiamo cenato con il solito tajin di pollo. Essaouiria è perennemente ventilata e ciò la rende tutt’altro che calda, specie la sera.

La mattinata seguente sarà ricordata ai posteri come il giorno dell’olio d’Argan.
Cominciamo con un giro per il porto e i bastioni. I gabbiani che a centinaia si appostano sugli scogli e sulle mura, volando a vento sopra di esse, creano un’atmosfera surreale. Il pesce viene venduto a pochi passi dal bastione del porto, seguendo le più tradizionali norme igienico sanitarie marocchine…
Continuando il giro arriviamo finalmente in uno di quelli che ricorderemo come luogo fondamentale di questo viaggio e non solo.

#Principessasissi_dqm già da diversi giorni attendeva l’arrivo a Essaouira per poter visitare le cooperative produttrici di olio d’Argan autogestite da donne berbere. Purtroppo lungo il tragitto verso Essaouiria la tragica scoperta: le cooperative sono a circa cinquanta km a sud della città, è tuttavia possibile finanziarle acquistando i prodotti presso i rivenditori all’interno delle mura.
Curioso il modo con cui viene prodotto l’olio. Le bacche d’Argan vengono mangiate e digerite dalle capre locali che poi vengono purgate (Non voglio sapere come)… Il guscio si scioglie con la digestione e l’interno del frutto viene estratto (a mano?) dalla cacca della capra, pestato e macinato. Poi c’è chi va al commercio equo e solidale e si compra 20 euro di boccetta di olio d’Argan ignorando il passaggio della capra berbera.
Siamo arrivati così in un negozio che #principessasissi_dqm ha deciso in modo assai arbitrario essere un presunto punto vendita di una cooperativa di donne senza sfruttatori e intermediari. La verità è che è stata colta da un compulsivo e irrefrenabile bisogno di shopping, mascherato pietosamente come forma di sostegno alle laboriose ed emancipate donne berbere misto a ricerca giornalistica da addetta ai lavori nel settore. A settembre la tessera del PD non gliela toglie nessuno. La giovane commessa asseconda la cosa mostrandole tutto l’inventario del negozio, olio d’Argan di ogni tipo, profumo e forma. Lasciamo il luogo con DODICI LITRI DI OLIO D’ARGAN (6 da cucina e 6 per il corpo…) più una miriade di flaconi e flaconcini di ogni tipo. Il costo di questo generoso atto di solidarietà equivale a circa 5 giorni di viaggio, ma non finisce qui. Mentre portiamo la merce al riad, matura la decisione obbligata di spedire almeno i 12 litri (6 in bottiglie sono anche di vetro…) in Italia per non aggravare il peso degli zaini per tutto il resto del viaggio.
In più, prima di raggiungere il riad, ci siamo fermati a comprare delle spezie da un giovane che ci ha offerto un tè a base di tutto quello che poteva metterci dentro.

***aggiornamento sullo stato fisico dei viaggiatori: il sottoscritto lamenta ancora disturbi gastrointestinali, arginati abbastanza bene con Imodium, al contrario #principessasissi_dqm ha qualche difficoltà realizzativa (invidiabile per alcuni versi) lontana dal familiar giaciglio, ma di questo argomento mi è tassativamente vietato parlare. Ciò che invece preoccupa un po’ è un forte dolore che lei sente all’altezza di un dente del giudizio, che per fortuna viene molto alleviato dagli anti dolorifici. Speriamo che nel corso del viaggio passi, altrimenti tornati a Roma la prima tappa dovrà essere il dentista.

Dopo aver posato le merci acquistate al riad e fatto la conoscenza del proprietario Rachid che ci ha dato una serie di informazioni su Essaouira, andiamo a mangiare un immancabile Tajin in un ristorante poco distante. Decidiamo di concederci un hammam e ci facciamo consigliare dal proprietario del ristorante uno di quelli non turistici. Ci spiega a parole sue che dentro le mura non ci sono dei veri e propri hammam, ma delle spa molto occidentali con bagno turco e ci spiega come raggiungerne uno “autentico” fuori dalle mura. Ma ormai da diverse ore siamo entrati nel mood #famoituristioccidentalipienidesordichecefrega e tornati al riad per chiedere a Rchid dove andare a prendere un taxi ci facciamo consigliare e portare in uno di quelli all’occidentale, a suo dire “convenzionati” col riad. Il luogo è molto rifinito e il servizio ottimo. Diciamo che non potremo dire di essere stati in un autentico hammam marocchino, ma abbiamo pagato un bagno turco con peeling e scrub un decimo di quanto avremmo pagato a Roma.
Concludiamo la giornata da ricchi turisti occidentali che non siamo andando a cenare in un ristorante un po’ più chic, di sera Essaouiria è davvero fresca.

Il giorno successivo è iniziato con una vana ricerca di un bus per arrivare a Marrakech, ma visto l’orario (va prenotato il giorno prima o al limite la mattina presto) non abbiamo trovato nulla. Abdichiamo così al viaggio scomodo (avremo modo di rifarci in seguito…) e ci facciamo prenotare da Rachid un grand taxi (qui in Marocco si usano per spostarsi nelle varie città) per il pomeriggio.
Abbiamo avuto così il tempo di andare alla posta, prendere il pacco, riempirlo con i DODICI LITRI DI OLIO D’ARGAN e spedirlo in Italia. Lo strano tipo allo sportello (che sputacchia in continuazione) ci fa capire che essendo lui a grandi linee la dogana, gli potremmo creare qualche problema qualora il pacco contenesse qualche droga. Lo rassicuriamo e lui sorridente ci fa imballare e spedire il tutto.
I due giorni di soggiorno a Essaouiria si sono conclusi con una passeggiata nel Suk, dove fra le altre cose è possibile comprare una gallina che ti viene sgozzata, spiumata e tagliata lì sul momento e un pranzo veloce in un piccolo locale che è stato ulteriore conferma di come in Marocco non esistano le Asl. Ma in fondo siamo ancora vivi, si parte per Marrakech.

27 – 28 agosto, Marrakech

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Il Grand Taxi ci ha portati da Essaouiria a Marrakech, una traversata di circa due ore e mezza da cui si vede chiaramente come il panorama, la vegetazione e i colori cambiano man mano che dalla costa ci si sposta verso l’interno. Il conducente ci spiega il motivo del rosso utilizzato per tinteggiare ogni costruzione, dalla più piccola alla più imponente, dalle moderne abitazioni popolari della grandissima periferia alla medina, sia a Marrakech che nei dintorni. Il colore (un rosso mattone) non riflette la luce del sole che in queste zone è perennemente forte e di conseguenza evita fastidi alla vista. Le quattro città imperiali sono denominate tutte con un colore che ritorna spesso nell’architettura urbana. Marrakech è la città rossa, Meknes la città verde, Fès la città blu e Rabat quella gialla. Ci viene anche spiegato che in Marocco le grandi città sono del popolo e i piccoli villaggi sono dello stato. Approfondirò la cosa tornato in Italia.

L’autista ci ha lasciati subito fuori dalla medina di fronte a un hotel dove un dipendente di Rachid, proprietario del riad dove abbiamo alloggiato e “amico” dell’omonimo di Essaouiria ci è venuti a prendere e ci ha scortati fino all’alloggio. La temperatura è decisamente diversa da quella lasciata sulla costa e per quanto il clima sia più secco i 45 gradi si fanno sentire. Potremo raccontare ai posteri di aver avuto a disposizione per una notte un intero riad nel centro di Marrakech essendo stati gli unici ospiti il 27 agosto. La struttura è restaurata con garbo, le stanze anche se piccole sono molto ben arredate e hanno tutte il bagno con doccia. Per 300 Dhiram (meno di 28 euro) davvero non male.

Dopo una breve rinfrescata ci siamo avventurati per la medina con il suo gigantesco suk, perché di fatto Marrakech è un enorme mercato, un labirinto dove si vende praticamente tutto e si viene continuamente chiamati da proprietari di negozi, bancarelle e procacciatori di clienti di ogni tipo. Essendo una rete di stradine indecifrabile, l’app con il navigatore gps (che in un viaggio di questo tipo è fondamentale) non contiene la cartina, ma salvando le coordinate del riad e dei punti d’interesse riesce molto facile muoversi nel labirinto senza sbagliare direzione rischiando di ritrovarsi in tutt’altra zona. Steve Jobs hakbar!!

A dire il vero ci eravamo preparati una Marrakech assai più complicata di ciò che in realtà è stata. I procacciatori di hotel, camere, appartamenti e riad, una volta lasciati gli zaini non ti assillano più e i venditori dei negozi, le false guide (personaggi che ad ogni dove ti chiedono di dove sei e si propongono di accompagnarti a destinazione come se ti facessero un favore ma poi ti chiedono un sacco di soldi), i buttadentro dei ristoranti e quelli delle agenzie che organizzano viaggi nel deserto non sono così opprimenti come ci aspettavamo. Merito sicuramente della militarizzazione delle città d’arte voluta da Mohammed VI, particolarmente severo contro le false guide e tutti quelli che infastidiscono i turisti. Esiste addirittura una “polizia turistica” a cui rivolgersi in caso di problemi.
Io e #principessasissi_dqm veniamo puntualmente scambiati per spagnoli (qui ne vengono tanti, per loro è una vacanza Low cost) con un certo fastidio di entrambi. La domanda tipo del tizio che ti insegue per qualche decina di metri è: Hola! Espanol? … French? …. English?… (lunga pausa…) italiano?… La tattica vincente è ignorare e proseguire verso un’ipotetica meta precisa, dopo un po’ il tizio smette di seguirti e ti insulta nella sua lingua prima di sparire nel nulla.

La piazza Djemaa el-Fna (che significa “assemblea dei morti”, era il luogo delle esecuzioni pubbliche) è poco distante dal Riad. Una babele che non ha eguali al Mondo in cui si trovano centinaia di tavolate dove viene servito cibo cucinato sul posto su delle grandi griglie, saltimbanchi d’ogni genere e incantatori di serpenti; un rumore di fondo indecifrabile. Penso che almeno una volta nella vita tutti dovrebbero vedere la grande piazza di Marrakech. Dopo averla girata abbiamo scelto uno dei tanti locali con terrazza e la abbiamo osservata dall’alto dal tramonto fino a sera, quando le luci, il mare di gente e i fumi che si alzano da essa la rendono quasi irreale. Magica quando i muezzin delle moschee che la circondano richiamano alla preghiera i fedeli.

Dopo la cena siamo tornati nel Riad e ci siamo sdraiati sulla terrazza. A parte il rumoreggiare dei soliti bambini nel vicolo sottostante abbiamo apprezzato il fresco e la tranquillità del posto, rimasto deserto fino all’arrivo del custode notturno che si è appollaiato al piano terra. L’idea era quella di dormire sulla terrazza su una coperta di lana trovata nell’armadio della stanza, ma #principessasissi_dqm dopo un po’ ha sentito freddo (!!!) e sono rimasto solo. A svegliarmi ci ha pensato l’amico muezzin dal suo minareto a due passi dal riad, che ha omaggiato Hallah verso le 5 del mattino. Quando mi sono alzato si sentivano solo il suo canto e quello dei suoi “colleghi” provenienti dagli altri minareti e le primissime luci dell’alba disegnavano i contorni della città rossa. Un’atmosfera difficilmente descrivibile da occidentale quale sono.

Mi chiedo se la nostra cosiddetta “cultura dominante” col tempo non omologherà anche tutto questo. Sul treno per El Jadida eravamo seduti nello stesso scompartimento con una nonna e i suoi due nipoti, un maschio e una femmina poco più che adolescenti. Durante il viaggio la donna ha tirato fuori uno straccio e ha cominciato a pregare mentre i due giovani la irridevano e a voce bassa facevano battute ironiche chiaramente rivolte a lei. Una scena che ci ha fatto riflettere. Mi chiedo se sia giusto pensare a un Marocco e a una Marrakech con sempre meno “pinguini” (nomignolo che abbiamo dato alle donne col velo) e al loro posto migliaia di shorts e quintali di cellulite al vento come nelle nostre città. Con frutta e verdura batteriologicamente pure ma senza più sapore come le nostre. Con strade senza più fastidiosi venditori e false guide e con i prezzi nelle vetrine su cui non è possibile contrattare. Mi chiedo se questo processo di apparente modernizzazione non sia quello che ci ha reso peggiori e sempre più distanti dalle nostre origini, dai nostri valori. Il muezzin conclude il suo canto e si sente chiaramente il rumore del microfono che viene spento, a distanza di pochi secondi nelle altre moschee accade lo stesso. Resto per qualche minuto ad osservare Marrakech in un silenzio surreale mentre il sole si alza lentamente, sembra quasi che il tempo si sia fermato. E se si fermasse veramente non sarebbe poi così male.

Il giorno seguente lo abbiamo dedicato all’esplorazione del grande mercato. Supportati dal gps siamo riusciti a girare per gran parte di esso e a vedere la grande scuola coranica. Nel pomeriggio, prima di tornare al Riad dove ci attendeva un organizzatore d escursioni nel deserto fornitoci dal proprietario del riad (assai meno simpatico e presente del suo omonimo di Essaouiria), siamo stati un hammam un po’ più tradizionale di quello di Essaouiria ma comunque turistico. Mentre io facevo i miei fanghi, i miei scrub e tutti i trattamenti offerti, #principessasissi_dqm si è fatta fare le unghie dei piedi da una rubiconda donna marocchina che le ha raccontato la storia tristissima della sua vita, una delle tante storie tristissime che in paesi come il Marocco sono la normalità. Di fatto la donna ha convinto (che poi qui è un po’ costringere…) la figlia a sposarsi per necessità, condannandola alla stessa vita a cui avevano condannato lei. Mentre raccontava è scoppiata a piangere (continuando nel frattempo a mettere lo smalto a #principessasissi_dqm) e per un attimo c’è stato il serio rischio di dover imbarcare un terzo zaino di circa 120 chili sul volo di ritorno.

Tornati al riad abbiamo parlato con l’organizzatore di escursioni nel deserto, ma il tipo non ci ha convinto e soprattutto ha sparato un prezzo assai più alto di quelli che avevamo sentito. Decidiamo di saltare Ouarzazzate e le oasi del deserto, un po’ per non sforare sul budget e un po’ perché di questi tempi viste le temperature (50 gradi…) non è proprio il massimo. Torneremo qualche giorno magari a dicembre in occasione del compleanno di #principessasissi_dqm.
La giornata si è conclusa con una cena “dolce” nella più famosa pasticceria di Marrakech, a due passi dalla piazza. Domani si parte per Meknes in mattinata, abbiamo deciso di tornare a nord e vedere le altre due città imperiali e qualche località nelle loro vicinanze.

29 – 30 agosto, Meknes

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Già da qualche giorno stiamo studiando la fenomenologia del Pinguino (donna con classico vestitone marocchino e velo). Il pinguino è prepotente e terribilmente ansioso. Quando deve passare o superare la fila inserendosi a spintoni non c’è Allah che tenga, passa lui. Quando c’è da prendere un autobus, un treno o qualsiasi mezzo di trasporto il pinguino costringe tutta la famiglia a posizionarsi mezz’ora prima davanti, per evitare la tragedia di dover salire per secondi. Malgrado ciò che si possa pensare il pinguino non è affatto succube del marito, il pinguino tratta il suo uomo come una pezza da piedi.

Arrivati alla stazione ferroviaria di Marrakech, una struttura moderna che ricorda quasi una stazione europea, abbiamo aspettato con pazienza che tutti gli ansiosi pinguini salissero sul treno (per fortuna non affollatissimo) e ci siamo trovati uno scompartimento. La grande differenza fra la prima e la seconda classe sei treni marocchini è che in prima hai i posti prenotati, in seconda chi arriva prima si siede e gli altri stanno in piedi. Ne consegue che se si capita su un treno affollato è totalmente impossibile trovare un posto a sedere perché è stato già sicuramente preso da un pinguino. Per fortuna la tratta Marrakech – Meknes siamo riusciti a farla seduti.

Una volta arrivati a Meknes abbiamo preso il consueto petit taxi che ci ha portati di fronte all’hotel “Regina”. La struttura, citando la Routard, “ha visto tempi migliori”. Ci siamo chiesti quali fossero stati questi tempi, ma in fondo è costata molto poco (questi ultimi giorni saranno molto al risparmio per non sforare tragicamente il budget) e ci ha offerto un ulteriore spaccato di Marocco. La faccia di #principessasissi_dqm quando ha visto la stanza mi ha ricordato quella dei popolani increduli spettatori sul fondo della crocifissione di S.Pietro del Caravaggio. La prima cosa che ha fatto è stata quella di posizionare il suo pareo sopra le lenzuola del letto per non correre il rischio di venirci a contatto.
Lasciati gli zaini nella nostra modesta dimora, abbiamo passeggiato per la città imperiale addentrandoci per i vicoli e le gallerie che la caratterizzano, rendendola quasi una grande “comune”. Di fatto gli abitanti di questa parte di città condividono molti spazi e le continue gallerie danno l’idea a chi le percorre di trovarsi nel cortile di un’unica grande casa.

Qui mi sono accorto di essere particolarmente apprezzato dalle teenegers meknesi. Quando passiamo molte di loro mi sorridono e se sono in gruppo chi mi vede per prima mi fa notare alle altre. Una di loro mi ha persino mandato un bacio (mi sono ben guardato dal dirlo subito a #principessasissi_dqm per evitare attriti con la popolazione locale). La spiegazione di tanto interesse verso il sottoscritto potrebbe spiegarsi proprio nella storia di questa antica città.
Meknes fu infatti costruita dal grande Moulay Ismaïl, sovrano da cui discende anche l’attuale re Mohammed VI. Pare che oltre ad essere un sovrano assai sanguinoso (unì il Marocco e usò le teste mozzate dei suoi oppositori per “ornare” le mura della città) fosse anche un grande estimatore delle donne e si dice abbia avuto svariate mogli e oltre 500 concubine. È chiaro che avendo Ismaïl vissuto gran parte della sua vita a Meknes, la progenie di tutte queste mogli e concubine deve essere concentrata nell’antica città imperiale. È altrettanto chiaro che il sottoscritto è un po’ Moulay Ismaïl in alcuni punti.
Costeggiando le mura, siamo poi arrivati all’ingresso del palazzo reale, sorvegliato da guardie che non disdegnano di farsi fotografare con i turisti. Architettonicamente parlando Meknes mi è particolarmente piaciuta, in più ha la caratteristica di essere molto tranquilla e non si viene assaliti da personaggi che vogliono venderti qualsiasi cosa come nelle altre città. Abbiamo mangiato io una pizza e #principessasissi_dqm un cheeseburger (ebbene sì…) e poi abbiamo approfittato della connessione wifi e delle prese di corrente (che l’hotel non ha…) del caffé rosalie. Mentre eravamo lì numerosi marocchini si dividevano fra supporters del Real e del Barca guardando la supercoppa spagnola. Qui si guarda molto il campionato spagnolo, anche perché da quel poco che ho potuto vedere le partite del campionato marocchino sembrano quelle dell’oratorio… Tutti a correre dietro la palla, calci, spintoni e risse una continuazione.
Tempo di ammirare la magistrale punizione di Messi che ha riaperto una partita fino ad allora dominata dal Real sul piano del gioco, siamo tornati nella nostra modesta dimora vinti dalla stanchezza e dal dolore al dente sempre più forte della povera #principessasissi_dqm. Per fortuna abbiamo buone scorte di antidolorifici. Quanto ai miei problemi intestinali lentamente miglioro.

La mattina dopo abbiamo fatto una lunga colazione all’ormai “solito” caffè Rosalie, dopodiché ci siamo addentrati nel suk particolarmente ‘rinomato’ per la carne. Le bestie già morte vengono macellate sul posto, che siano capre, mucche o polli e ciò rende l’aria particolarmente irrespirabile. Di sicuro sarà un giro che mi resterà sempre impresso nella memoria. #principessasissi_dqm mi ha aspettato fuori perché aveva dei comprensibili conati di vomito. Dopo un veloce giro per il mercato, abbiamo pranzato in uno dei ristoranti sulla piazza principale e una volta finito abbiamo invano cercato il quartiere ebraico, prima di rifugiarci nella nostra modesta dimora nelle ore più calde del pomeriggio.

Siamo usciti di nuovo nel tardo pomeriggio, con temperature più accettabili e dopo la solita sosta al caffè Rosalie abbiamo passeggiato nuovamente per la Medina cercando di passare per la parte che non avevamo visto. La giornata si è conclusa al ristorante “le mille e una notte”, una specie di trattoria a gestione familiare molto accogliente. Di fatto mangi in una parte di casa loro adibita a ristorante… La madre e la figlia grande cucinano e la piccola ti serve fra una chat su Facebook e l’altra. La terza figlia era entrata in loop con una canzone che avrà messo 30 volte di seguito e non esagero. Il padre faceva la comparsa. Finite le due (buone) pietanze ci siamo congedati dalla famiglia marocchina e siamo tornati nella nostra modesta dimora. Domani si parte per Fès.

31 agosto, Fès

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La mattina seguente, dopo una veloce colazione in un bar di fronte la stazione ferroviaria di Meknes, abbiamo preso il treno e in quaranta minuti siamo arrivati a Fès. L’hotel scelto sulle guide era proprio di fronte la porta principale della grande medina. Anche questo rientrava nella categoria “ha visto tempi migliori”. Ci siamo subito accorti della particolare insistenza dei giovani e giovanissimi Fassi… Girare per la Medina senza essere braccati è praticamente impossibile e rispetto ad altre città – Marrakech compresa – qui sono più insistenti e prepotenti. Il loro obiettivo è portarti in una delle tante concerie gestita da qualche parente, ma con noi cascano male perché delle concerie #noncenepo’fregademeno.
Per fortuna verso ora di pranzo grazie alle preghiere musulmane del venerdì gran parte della città si è svuotata e quasi tutti i negozi hanno chiuso. Ne abbiamo approfittato per visitare la medersa, il museo (niente di eccezionale…) e per mangiare un panino da uno “zozzone” locale. Siamo arrivati alla conclusione che mangiare in questi posti faccia meno male rispetto a molti ristoranti. A dire il vero, se si osserva la piastra dove viene cucinata la carne e il locale nel suo complesso (ma meglio non guardare…), viene da chiedersi come sia possibile non prendere il tifo. Tutte le operazioni vengono rigorosamente fatte con le mani, le stesse mani che toccano i soldi lo straccio lurido usato per pulire e non voglio sapere cos’altro. Il panino però era decisamente buono. Finito di mangiare siamo tornati in hotel e ci siamo riposati nell’attesa di temperature migliori fino al tardo pomeriggio, quando il clima diventa meno afoso. Dopo la siesta, siamo andati a fare una passeggiata alla casba e abbiamo costeggiato le mura del palazzo reale dove è vietatissimo scattare fotografie (il soldato armato di mitra ti richiama immediatamente). Scendendo nella medina per vedere la parte che non avevamo percorso in mattinata, abbiamo notato come i fassi la sera siano assai meno invadenti e soprattutto abbiamo avuto un’ulteriore conferma del fatto che una volta lasciato lo zaino grande in hotel diventi assai meno appetibile. La serata si è conclusa nella stessa bettola dove avevamo mangiato a pranzo… Le scene sono state le medesime della mattina con l’aggiunta della madre con quattro figli a cui cade il pane sul pavimento lurido e lo rimette nella busta come se fosse la cosa più normale di questo mondo. #principessasissi_dqm si concede anche del pane “strappato a mano” in una panetteria vicina all’hotel. Si conclude così la nostra giornata a Fès, domani si va a Chefchouen, cittadina sulle montagne dove dovremmo trovare un po’ di refrigerio.

1 settembre, Chefchouen

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Abbiamo salutato Fès con la colazione più buona da quando siamo in Marocco. Sfoglia di pane calda con miele di eucalipto servito a parte. Una specialità del posto. #principessasissi_dqm si è lavata dividendo il lavandino con un marocchino, un’esperienza che la segnerà a vita. Alla stazione dei bus a una povera bimba è caduto il ciuccio. Niente paura, la madre lo ha prontamente rialzato e glielo ha rimesso in bocca. Penso che gli anticorpi dei marocchini siano decisamente più potenti dei nostri. Il bus è arrivato molto in ritardo provocando evidenti stati d’ansia ai pinguini assiepati di fronte all’ingresso degli imbarchi.
La strada per Chefchouen è assai dissestata e piena di curve e tornanti. Se aggiungiamo lo stile di guida dell’autista non proprio impeccabile direi che verrebbe il mal di mare anche a capitan Findus. Ormai forte dell’esperienza della bettola di ieri, durante la sosta – pranzo del bus mi dono preso un panino con macinato misto in una tipica macelleria/griglieria. Ho contato almeno tre passaggi di mano, quella del macellaio che prende vari pezzi di carne, interiora e nervetti e li mette nel tritacarne, quella del tipo che impasta il tritato e lo divide in tre parti per metterlo sulla piastra e quella del tipo che toglie la mollica alla pagnotta tonda aperta a sacca e ci mette la carne dentro condendola con le salse. Fanno tutto rigorosamente con la destra perché Allah dice che la sinistra è la mano impura con cui ci si lava… Speriamo che nessuno dei tre sia mancino.

Arrivati alla stazione bus di Chefchouen, ci imbattiamo in un milanese palesemente gay che ci racconta delle sue disavventure in Marocco. A dire il vero è già la seconda volta che incontriamo persone di Milano, la prima è stata alla stazione ferroviaria di Assilah quando siamo partiti per Rabat. C’è da dire che soffrono il popolo marocchino assai più di noi e la spiegazione è abbastanza semplice: per quanto qui sia tutto portato all’eccesso noi abbiamo un anticorpo che si chiama “sud Italia” che ci rende più preparati ad affrontare situazioni di palese assenza di regole e vari comportamenti poco civili da parte delle persone. Brutto dirlo ma è così.
Abbiamo diviso la corsa in taxi verso la medina col giovane nordico e arrivati nella cittadina abbiamo cercato insieme a lui l’hotel segnalato dalle guide.
Durante la ricerca il solito assalto di procacciatori di hotel con la pazienza di #principessasissi_dqm messa a dura prova da uno di questi tipi che a un certo punto ha osato dirci “italiani mafia”… Il rischio di rissa è stato altissimo, con #principessasissi_dqm in pieno delirio hitleriano contro il popolo nordafricano.

Purtroppo l’atteggiamento di molti marocchini verso il turista – visto come un “ricco” che ha il dovere morale di farsi estorcere soldi in ogni modo possibile – è un grave sintomo della povertà e dell’inciviltà diffusa in questo paese. Esiste addirittura una sorta di graduatoria non scritta del turista più “spennabile” di altri. C’è da dire che noi non occupiamo i primi posti (gli americani primeggiano anche in questo) e siamo sotto gli spagnoli che ci battono decisamente in numero. L’italiano è “italiano brava gente”, “italiano mafia” e “italiano paranoia”. Semplicemente il marocchino sa che con noi è più complicato perché tendiamo a essere più furbi e malfidati (anche in situazioni dove non servirebbe) e soprattutto siamo più “poveri” di altri ricchi. Difficilmente ci riconosce, ai suoi occhi siamo spagnoli e ciò dopo un po’ infastidisce non poco. Nulla contro gli iberici ma…

Arrivati all’hotel pieno di europei abbiamo scoperto che era completo e c’era posto solo in terrazza. Decido prontamente di risparmiare l’esperienza a #principessasissi_dqm. L’amico milanese gaio sceglie di fermarsi lì perché andando a vedere la terrazza ci ha trovato un coreano conosciuto in un’altra città con cui aveva familiarizzato. Impossibile per me non malignare su tutto ciò a mio modo, fatto sta che siamo usciti dall’hotel completo e schivando i vari inseguitori assillanti abbiamo trovato una pensione/riad molto carina e incredibilmente pulita allo stesso prezzo, a due passi dalla piazza principale.
Presa la stanza abbiamo lasciato gli zaini e passeggiato per il paesino completamente tinteggiato di blu. A zaini posati anche Chefchauen diventa decisamente più tranquilla, si viene chiamati solo dai venditori di hascish che però per ovvii motivi non sono affatto insistenti. Questa zona è la più grande produttrice di hascish al mondo e osservando i turisti italiani che vi si incontrano mi è salito un certo fastidio per un certo clima da “leoncavallo in vacanza” che si respira.
In compenso la Medina è molto particolare. Tutte le case sono dipinte di blu perché pare che il colore tenga lontani gli insetti… Da verificare.
Passeggiando per i vicoli pieni zeppi di negozietti che vendono più o meno tutti le stesse cose, siamo arrivati alle piccole cascate dove le famiglie marocchine fanno il bagno, lavano i vestiti su appositi lavatoi e si rilassano. Ci sarebbero anche delle cascate più grandi e decisamente più belle da vedere ma per raggiungerle bisogna prendere un grand taxi e percorrere diversi chilometri… Ci siamo fatti bastare quelle piccole.
Tornati alla piazza principale (che si chiama piazza dei piccioni perché ospita l’omonimo parco) ci siamo dissetati e riposati in uno dei tanti bar, per cena abbiamo cercato il solito panino fatto a mano a cui ormai siamo molto affezionati. La verità è che costa 10 Dhiram che sarebbe un euro e – mistero – non mi fa venire i bruciori di stomaco che invece mi venivano puntualmente mangiando le speziatissime pietanze cotte nei tajin.
Finita la cena abbiamo fatto due passi per le vie della medina illuminate da lampioncini che le rendevano particolarmente d’atmosfera.

Tornati nella pensione ci siamo messi a prendere un po’ di fresco sulla terrazza, osservando i fumi delle braci delle adunate a base di hascisc nelle terrazze intorno. Per fortuna il posto che abbiamo trovato è molto tranquillo, a disturbare il nostro sonno sarà solo la rumorosa e numerosa famiglia marocchina che occupa gran parte delle stanze del nostro piano che ha rumoreggiato fino a tarda sera e dalle sette della mattina seguente.
Ormai svegliati a prima mattina da muezzin e famiglia marocchini, con il fratello maggiore che si è fatto tutte le stanze per andare a svegliare le numerose sorelle, abbiamo deciso di lavarci come si deve, visto lo stato dei bagni in comune di Meknes e Fès. #principessasissi_dqm si è fatta una lunga doccia calda e io sono andato nell’hammam situato sulla stessa via dell’hotel.

A differenza di quelli visti finora in Marocco, questo è un vero hammam, assai simile a quelli turchi. Decido di investire qualche Dhiram per un massaggio con scrub pagando un minuto vecchietto che dormiva appollaiato all’ingresso della struttura.
Entrato nella sala più calda, mi sono seduto un attesa del classico omone sadico, di quelli che in Turchia si divertivano a ogni scricchiolio delle mie povere ossa, ma con mia somma sorpresa vedo arrivare il minuto vecchietto che era all’ingresso in mutandoni, che a gesti mi fa segno di stendermi per terra sul marmo bollente. Un po’ turbato dalla cosa ho fatto come mi diceva cercando di seguire con la coda dell’occhio i suoi movimenti con una certa preoccupazione. Lo vedevo riempire due grandi secchi, uno rosso e uno blu, il primo con acqua bollente e l’altro con acqua fredda. Ho invano sperato che mischiasse i due contenuti ma no… Secchiata di acqua bollente e a seguire secchiata di acqua gelata. Ma la tortura non finiva lì. Dopo le secchiate ha cominciato a camminarmi sopra con i suoi piedi ossuti, ha fatto su e giù saltellando almeno sei volte. Poi ha cominciato a insaponarmi con una saponetta (anche i capelli) su tutto il corpo tranne che sulle parti intime dove mi lasciava la saponetta indicandomi il costume, un piccolo gesto che in quella situazione mi ha dato non poco sollievo.
Finito l’insaponamento si è messo il guanto da scrub (per fortuna era confezionato quindi nuovo…) e ha cominciato a scartavetrarmi con forza. Anche qui stessa scena della saponetta, con la differenza che quando mi ha passato il guanto ho fatto finta… Lo scrub lì non mi pare il caso. Il lavaggio si è concluso con diverse secchiate d’acqua, questa volta fortunatamente tiepida. Sono uscito dall’hammam molto pulito ma decisamente stordito e sono risalito in camera raccontando l’accaduto a #principessasissi_dqm, dopodiché ci siamo caricati gli zaini e siamo andati a fare colazione in un bar di fronte la stazione del bus che ci porterà a Tetouan. Mentre aspettavamo abbiamo notato il sesto senso dei pinguini, che si sono appostati sulla corsia dopo che uno di loro aveva visto arrivare il bus proveniente da Fès scendere in lontananza da una strada sulla montagna.
Sul bus abbiamo scambiato due parole con uno spagnolo e #principessasissi_dqm ha familiarizzato con un’anziana donna marocchina con cui ha parlato per tutto il viaggio.

2 – 3 settembre, Tetouan e Martil

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Arrivati a Tetouan – la città dei ladri – siamo usciti dalla stazione dei bus mostrando estrema diffidenza verso tutti coloro cercavano di fermarci. Devo ammettere che la nomea della città ha giocato molto sul piano psicologico. Arrivati all’hotel segnalato dalla guida, abbiamo scoperto che come era già accaduto a Meknes la stanza non disponeva di una presa da dove caricare il telefono e gli altri apparecchi elettronici. Dovendo fermarci due notti abbiamo deciso di cercarne un altro. Un uomo sulla mezza età che ci aveva indicato “senza scopo di lucro” l’hotel di fronte al suo ingresso, ci ha proposto di seguirlo fino a una pensione che allo stesso prezzo disponeva delle prese. Ho avvertito più volte l’uomo che non gli avremmo dato soldi per il suo “favore” e lui annuiva.
Durante il tragitto #principessasissi_dqm borbottava molto e mi chiedeva cosa mi spingesse a fidarmi dell’uomo. In effetti non c’era un motivo particolare, semplicemente l’uomo mi aveva fatto una buona impressione e non mi sembrava volesse estorcerci Dhiram.

Una volta arrivati nella modesta pensione munita di prese elettriche #principessasissi_dqm mi ha lasciato intendere di non voler restare nel posto, preferendomi di continuare la ricerca. Il suo livello di sopportazione verso il popolo marocchino è ormai da tempo sopra le soglie di sicurezza. Salutato l’uomo e la sua amica (non voleva soldi, semplicemente cercava di fare un favore a noi e a un’amica proprietaria di una modesta pensione) ci siamo diretti verso l’hotel “Regina”, omonimo di quello di Meknes. La struttura come ormai consuetudine “ha visto tempi migliori”, la camera era al terzo piano e l’ascensore ben in vista all’ingresso era utilizzato solo dal proprietario. La camera è costata un po’ di più degli altri posti ma in compenso c’era il bagno in camera con una vasca monoposto… Diciamo una specie di grande bacinella dove entra mezza persona. La particolarità del posto è un continuo puzzo di fogna che sale dall’affaccio interno della stanza. Deduco due cose osservando i fatiscenti tubi che scendono dall’edificio. In Marocco non esiste distinzione fra i vari scarichi e i tubi passano all’esterno disegnando percorsi tortuosi e spesso ingiustificati, quasi servissero a qualcuno che vuole arrampicarsi su di essi passando da un palazzo all’altro e da un piano all’altro.

Posati gli zaini, ci siamo accorti di un tragico errore commesso dal dipendente della CtM (compagnia di autobus di linea del Marocco) di Chefchouen: i biglietti per Tangeri sono datati 5 settembre e non 4. Torniamo così alla stazione dei bus e ci facciamo cambiare i biglietti per la Modica cifra di 5 Dhiram. Risolto l’inconveniente siamo andati a pranzare da uno “zozzone” particolarmente frequentato da persone del luogo. Le solite piastre probabilmente mai lavate e una discreta scelta di carne e pesce da condire con fantasia e in alcuni casi coraggio.
Anche in questo posto l’aspetto del locale è stato inversamente proporzionale alla bontà del cibo, i panini erano davvero ottimi.
Finito il pranzo abbiamo passeggiato per la grande medina che si arrampica sulla collina. La città è molto militarizzata, molte strade sono transennate e sono accessibili solo restando da un lato, se lo si vuole cambiare bisogna aspettare l’incrocio. La stessa Medina con il grande suk è controllata da militari ad ogni angolo, da un certo punto di vista ci si sente più sicuri e meno soggetti ai soliti inseguimenti di chi vuole venderti qualcosa o mandarti da qualche suo parente che ha un negozio. È piena di artigiani di ogni tipo e venditori di spezie e c’è anche una zona dedicata a quello che noi chiamiamo “mercato delle pulci” dove si vende praticamente tutto, ma proprio tutto.
Rispetto alle altre città, Tetouan è molto meno turistica; camminando abbiamo incontrato anche una pecora che passeggiava tranquillamente per i vicoli. Uscendo da una delle porte ci siamo ritrovati nel cimitero dove alcune capre pascolavano tra le tombe, alcune delle quali in evidente stato di abbandono. Tornando verso l’hotel ci siamo fermati ad una pasticceria per placare la “voglia di dolcetto” di #principessasissi_dqm, io ho provato una granita di limone niente male. Malgrado l’antidolorifico #principessasissi_dqm continuava a soffrire per il dente, molto probabilmente a causa di un ascesso. la sua mascella cominciava a ricordare un po’ quella di Ridge di Beautiful in alcuni punti. Quasi certi della nostra diagnosi, siamo tornati in albergo dove via chat il papà di #principessasissi_dqm informato dei sintomi ha confermato la diagnosi consigliandole l’antibiotico da cercare.
Purtroppo essendo domenica solo alcune farmacie erano aperte e non erano quelle nel centro della città. Su consiglio di un pinguino molto gentile abbiamo così deciso di prendere un petit taxi per farci portare direttamente da lui a una farmacia aperta, facendoci aspettare e riportare indietro perché alcune zone della città nuova non sono molto sicure.

Il tassista non aveva le idee molto chiare e per cercare la farmacia aperta ci ha fatto fare un piccolo tour della vera Tetouan, la grande periferia abitata solo ed esclusivamente da marocchini. Francamente non ho notato troppe differenze con una periferia occidentale, anzi forse ha il pregio di avere molte attività commerciali e bar aperti fino a tarda sera, che la rendono particolarmente viva e non solo un dormitorio.
Trovata la farmacia abbiamo comprato l’antibiotico, non era proprio quello che cercavamo ma secondo la farmacista e il marito (che ci hanno raccontato del loro viaggio di nozze in Italia) andava bene lo stesso. Ovviamente prima di prenderlo abbiamo chiesto conferma al papà di #principessasissi_dqm. Nulla contro i farmacisti marocchini che hanno scelto il belpaese per la loro luna di miele ma su queste cose meglio non rischiare.
Il tassista ci ha riportato a pochi passi dall’hotel, ne ho approfittato per salire in camera e seguire da internet la diretta di Napoli – Fiorentina. Grazie alla microsim comprata ad Assilah il mio iPad si connette a internet come fossimo in Italia, anche se la velocità e la stabilità della rete marocchina lasciano molto a desiderare. Oltretutto la rete non è disponibile in tutte le città e durante gli spostamenti da una città all’altra è utopia.
Accertatomi della vittoria del Napoli per 2-1, gol di Hamsik e Dzemaili, siamo usciti per andare a cenare. L’idea era quella di tornare dallo “zozzone” del pranzo, ma dopo aver notato che esponeva la stessa carne e lo stesso pesce già visti qualche ora prima, che nel frattempo avevano cambiato un po’ colore, cambiamo idea. Abbiamo così cenato con dello shawarma in un luogo poco distante e prima di tornare in camera siamo tornati alla pasticceria per provare altri dolci. Tornati in camera ho provato a farmi un bagno nella mini vasca restandoci quasi incastrato. La cosa ha particolarmente divertito #principessasissi_dqm.

La mattina seguente abbiamo fatto colazione in un bar a pochi passi dall’hotel. Qui abbiamo notato che le centinaia di api che ricoprono i dolci marocchini sono nere come le mosche… Malignamente abbiamo decretato che anche loro si lavano poco.
Finita la colazione siamo saliti su un taxi collettivo diretto alla spiaggia di Martil, una piccola località balneare a venti minuti da Tetouan. Questo tipo di mezzi vengono riempiti all’inverosimile. Abbiamo viaggiato con altre cinque persone e uno era un rubicondo pinguino.
Martil è una via di mezzo fra Torvajanica e un paesino del Salento. I palazzetti bassi che arrivano fino alla spiaggia sono tutto sommato gradevoli seppur abbastanza nuovi. La spiaggia è abbastanza pulita, abbiamo anche notato un gruppo di volontari armati di sacchi in stile “legambiente marocchina”. Qui non usano le sdraio o i lettini, ci si siede su delle sedie di plastica da bar con in mezzo un ombrellone. Intorno a noi c’erano solo famiglie marocchine, la spiaggia non è meta turistica e da un certo punto di vista ciò la rende molto tranquilla. La cosa più curiosa che abbiamo notato a Martil è stato il venditore di ceci in riva al mare. Arriva col suo carretto e dispensa ciotole di ceramica e cucchiaino di ferro con dentro i ceci bolliti. Si ferma diverso tempo nello stesso punto in attesa che gli vengano riportate le ciotole e i cucchiaini che lava semplicemente sciacquandoli in un secchio d’acqua prima di usarli per altri clienti. Abbiamo passato tutta la mattinata sulla spiaggia e dopo siamo andati a mangiare un panino senza infamia e senza lode in un bar frequentato da giovani che fumavano hascisc. Finito il mediocre pasto abbiamo passeggiato sul lungomare e ci siamo presi un tè in un bar prima di tornare verso il posteggio dei taxi collettivi. #principessasissi_dqm ha fatto più volte notare al tassista che in sette non entravamo nella macchina, senza pensare che in Marocco è normale sedersi in due sul sedile davanti.
Tornati a Tetouan siamo andati in hotel per lavarci e riposare un po’. Siamo usciti verso ora di cena e questa volta ci siamo fatti coraggio e siamo tornati dallo “zozzone” del primo giorno. #principessasissi_dqm ha addirittura preso un panino con calamari e gamberetti.
Finita la cena ci siamo ritirati in hotel, domani sveglia alla quattro per prendere il primo bus per Tangeri per riuscire ad imbarcarci il prima possibile per la Spagna e arrivare a Siviglia in un orario decente.

4 settembre, da Tetouan a Siviglia
La nostra ultima avventura marocchina, si è consumata alla stazione dei Bus di Tetouan. Arrivati con un certo anticipo (quattro e mezzo del mattino), abbiamo scoperto che il nostro autobus che sarebbe dovuto partire alle cinque era passato in anticipo e già ripartito. Quasi increduli abbiamo chiesto spiegazioni a un dipendente della CtM che un po’ imbarazzato (abbiamo supposto che l’errore fosse il suo) ci ha rimborsato i biglietti consigliandoci di recarci all’altra stazione dei bus per viaggiare con un’altra compagnia.
Obbligati dalla tabella di marcia abbiamo seguito il consiglio e arrivati all’altra stazione dei bus siamo saliti sul primo autobus disponibile. A parte il mezzo più fatiscente e maleodorante rispetto a quelli di linea, l’anonima compagnia di trasporto ci ha lasciati a Tangeri circa un’ora prima del previsto a un prezzo più basso. Siamo così arrivati a Tangeri e senza troppi fronzoli siamo saliti su un taxi collettivo (mezzo a cui ormai siamo affezionati) che ci ha lasciati al porto sul mediterraneo, dove abbiamo immediatamente comprato i biglietti e ci siamo imbarcati per Algericias. La traversata è durata meno dell’andata e questa volta ci siamo potuti godere le colonne d’Ercole senza file per timbrare i passaporti. Una volta sbarcati nel porto spagnolo siamo andati direttamente alla stazione degli autobus e abbiamo comprato i biglietti per Siviglia. Il tempo di un kebab e un po’ d’attesa alla stazione dei bus ed eccoci sulla strada spagnola con i suoi enormi campi, i grandi tori e le pale eoliche.

Il paesaggio spagnolo che osservo tornando verso Siviglia, con i suoi campi arati così regolari e pieni di animali in buona salute, le cittadine pulite e senza odori, le automobili nuove (grazie alle norme della UE su euro3, 4, 5, 6… Che hanno costretto milioni di persone a comprarsi la macchina nuova per circolare) e le ragazze rigorosamente in shorts (sempre più piccoli), mi hanno fatto riflettere su come due mondi così vicini e divisi solo da una striscia di mare possano essere così diversi. Di certo qui tutto è più familiare, ma questo è scontato.
Mi tornano però alla mente le vite che ho incrociato nelle città marocchine, vite fatte di semplicità e di odori forti, di povertà e di continua ricerca di spiritualità attraverso la preghiera. Ripenso ai tantissimi gatti sporchi e malati che salvano le medine dalle invasioni dei ratti, a quei tanti asini malconci che in molti piccoli paesi sostituiscono ancora degnamente il motore, ai dromedari travestiti da cammelli perché ai turisti piace di più. Viaggiare per tre settimane zaino in spalla in un paese così diverso, girare per le sue strade e conoscere le persone che le abitano è un modo per capire che non esiste un solo Mondo. Ma è anche un modo per immaginarci diversi, fantasticare per un attimo di far parte di qualcos’altro e sentirlo altrettanto familiare.
I titoli di coda di questo viaggio passano come nel finale di una moderna commedia americana, fra le scene delle passeggiate nelle pulitissime strade di Siviglia, quelle dei due viaggiatori felici come bambini alla vista dei comfort (e della pulizia) del grazioso hotel nei pressi di Santa Cruz e i loro visi distesi mentre mangiano voracemente tapas bagnate di vino bianco.
Non esiste un solo Mondo e di conseguenza non esiste un solo modo di essere per ognuno di noi. Vedere ciò che è diverso ci aiuta a pensarci diversi e forse in qualche misura a diventarlo. È questo in fondo il piccolo grande dono che ci lascia un viaggio.

1 risposta a “Marocco, agosto/settembre 2012”

  1. caro mio, una cosa la so. sei cotto 🙂

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