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Le statistiche mediche ci dicono che un bambino nato prematuro al settimo mese, arriva a pesare tra i 750 grammi e il chilo e mezzo-due nei casi più fortunati. Ha comunque bisogno di lunghe settimane di cure per sopravvivere.
Ma il neonato trovato ancora legato al cordone ombelicale della madre, nella stiva del barcone inabissato a largo di Lampedusa, gonfio, sformato e pieno d’acqua, pesa diversi chili come se fosse nato già adulto.

Degli agghiaccianti recuperi che i sub in queste ore stanno portando a termine, questo è indubbiamente quello che ci dovrebbe lasciare più atterriti, non per una ragione banalmente simbolica sul senso della vita, ma perché in questi sciagurati tempi in cui viviamo, si è persa la misura del peso fisico delle cose, ma anche di quello delle parole, delle idee, delle azioni.
Ma cosa è il peso senza una scala? Senza un’unità di misura a cui far riferimento? In quel caso è qualcosa di totalmente soggettivo e suscettibile alle più disparate e spesso errate valutazioni.

La fine delle ideologie in un certo senso è stata la fine delle unità di misura che misuravano le scelte, le decisioni e i costumi stessi dei popoli fino al secolo scorso. Quelle scale erano ormai superate dai tempi e dalla rivoluzione tecnologica già in atto e spesso nelle misurazioni si andava appunto ‘fuori scala’ per eccesso o per difetto. Si scelse così – perché scelta fu – di azzerare il tutto senza fissare nuove unità di misura del pensiero e lasciando campo libero alle più incontrollate interpretazioni di esso.
Il fenomeno ha investito tutto, dalle arti visive alla musica, dal costume alla moda, dal giornalismo alla politica. Tutto ciò che è espressione umana, ragione, sentimento, uomo, Dio.

Poi c’è il peso geopolitico degli stati e dei continenti. Ciò che spinge i flussi migratori come spontanea sopravvivenza della specie e dello stesso sistema pianeta. Nella storia avviene continuamente e senza sosta. Il fenomeno si accompagna a morte, a violenza, alla resistenza dei popoli ospitanti che temono la sopraffazione e l’estinzione, all’istinto di fuga dei popoli migranti. Anche qui le scale sono saltate, complessivamente il “Mondo povero” pesa più del “Mondo ricco” – da qui il suo continuo sfruttamento per risorse e manodopera umana – ma i suoi popoli hanno un peso specifico minore. E saltate le scale, agli occhi della nostra beneamata “civiltà”, centinaia di corpi senza vita provenienti dal Sudan o da qualche altro paese africano pesano meno di 38 italiani morti precipitando con un bus non revisionato da un viadotto autostradale.
Poi certo, a parole i morti sono tutti uguali, ma anche le parole ormai da lungo tempo hanno un peso fittizio e sono continuamente strumento di inganno.

Ma ‘sfortunatamente’ per noi il corpo di quel neonato prematuro, sfigurato da un ambiente ostile alla vita, che ora giace in una bara insieme alla madre, ancora legato al suo cordone ombelicale, pesa davvero troppo. Troppi chili per un prematuro al settimo mese, troppi per lasciare indifferente ciò che resta della nostra coscienza collettiva. Se ancora utilizzassimo delle unità di misura, quei chili segnerebbero il peso delle nostre miserie.