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In questi giorni si parla tanto degli ultras e delle scritte sulle loro magliette, di gruppi violenti alle manifestazioni politiche, di sicurezza. Sono problemi reali che vanno affrontati e risolti con iniziative forti. Ma forse, alla luce di fatti di cronaca che affondano le loro radici nella storia del paese, dal commissario Calabresi (non sul suo omicidio su cui si è già detto e scritto molto, forse troppo, ma su quello che era il suo modo di operare) fino agli applausi del Sap, passando per la Diaz e per le migliaia di vicende giudiziarie che coinvolgono la Polizia di Stato (Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi i casi più recenti), bisognerebbe ragionare seriamente e senza pregiudizi di parte su una riforma dell’arma, dal sistema di reclutamento, alle norme di gestione e organizzazione.

È dimostrato che esistano frange violente all’interno della stessa, che quotidianamente utilizzano pratiche di tortura durante gli interrogatori e che gestiscono l’ordine pubblico con abusi d’ufficio, collusioni e infiltrazioni con la criminalità organizzata e con gruppi dell’estrema destra.

Altrettanto palese il fatto che queste godano di coperture all’interno e di appoggi politici esterni. Forse è il momento di intervenire su queste frange, disinnescandole e punendo in maniera esemplare i responsabili degli abusi. Sarebbe importante farlo, per tutelare in primis la stragrande maggioranza degli oltre 100mila agenti che ogni giorno rischiano la vita in tutto il territorio nazionale e che agli occhi di una parte dell’opinione pubblica finiscono per essere assimilati a quegli ultras in divisa antropologicamente identici a “Genny ‘a Carogna” e ai suoi simili.